
16 Ago INTERCONNESSIONI
All’inizio di agosto, la diffusione di dati macroeconomici deludenti e il riaffiorare dei timori di un’escalation in Medio Oriente hanno provocato pesanti cali sui mercati azionari dei paesi sviluppati e una riduzione dei rendimenti dei titoli di Stato, il tutto in un contesto di alta volatilità, favorita dai bassi volumi di trading che generalmente caratterizzano i periodi estivi.
Uno dei più colpiti è stato l’indice Nikkei giapponese, che il 5 agosto ha perso oltre il 12%, registrando il peggior crollo giornaliero dal 1987.
Tuttavia, sebbene i recenti dati macroeconomici degli Stati Uniti (in particolare l’indice ISM manifatturiero più debole del previsto e il rallentamento nella creazione di posti di lavoro nel settore non agricolo) indichino un rallentamento dell’economia, non sono sufficienti a giustificare la correzione osservata sul mercato. Nel secondo trimestre, le economie di USA e Area Euro hanno mostrato buone performance, con una crescita annualizzata del 2,8% negli Stati Uniti e dell’1,2% nell’Area Euro. In sostanza, la crescita continua a rallentare moderatamente, mentre il trend di disinflazione sembra destinato a consolidarsi anche nel secondo semestre, pur con alcune differenze a livello regionale. La BCE ha già iniziato a tagliare i tassi di interesse e la Fed si prepara a fare lo stesso da settembre, mentre la Banca Popolare Cinese osserva la situazione, mantenendo l’economia in linea con il potenziale in un contesto di bassa inflazione.
Cosa ha scosso i mercati dunque?
A proposito di 1987, qualche cenno storico può aiutarci a comprendere, perchè come direbbe Mark Twain “la storia non si ripete ma fa rima”: lunedì 19 ottobre 1987, ribattezzato “lunedì nero”, i mercati finanziari globali subirono pesanti perdite senza una valida ragione apparente. Il Dow Jones crollò del 22,6%, il FTSE 100 di Londra chiuse con un -26,4%, Madrid perse il 31%, Sidney un drammatico 41,8% e Hong Kong il 45%; Tokyo registrò un calo del 14,9%. Relativamente meno colpita fu Piazza Affari, con una perdita contenuta al 6,4%. A distanza di 37 anni non si conoscono ancora i motivi precisi del crollo, a cui non è stata data una risposta univoca, è opinione diffusa che si trattò di un mix di fattori: tensione sui tassi, crisi della bilancia commerciale americana, una tempesta che impedì ai trader londinesi di recarsi ai loro desk il venerdì precedente, aumentando l’ansia degli operatori e….
Una parte delle responsabilità sarebbe da imputare alla tecnologia, in particolare ai software di trading impostati su strategie di assicurazione dei portafogli, che iniziarono a vendere azioni una volta toccati determinati target di perdita (stop loss in gergo); questi ultimi amplificarono enormemente l’entità dei movimenti dei prezzi.
In breve: gli operatori iniziano a vendere per ragioni emotive e le interconnessioni del mercato, che è un sistema dinamico, generano reazioni a catena e movimenti estremi.
Tornando al presente
le vendite massicce di lunedì 5 agosto sono state scatenate da un mix di fattori, come già detto, e…. dalla chiusura forzata di numerose operazioni di carry trade in yen giapponesi montate negli ultimi due anni da operatori professionali. Spiego meglio: negli ultimi due anni, la Bank of Japan ha mantenuto invariati i tassi di interesse, nonostante l’aumento dell’inflazione (seppur a un ritmo diverso da Europa e Stati Uniti), mentre la Federal Reserve li ha alzati al 5,5%, creando un enorme differenziale di tasso tra queste due aree economiche. Di conseguenza, lo yen si è svalutato del 30% rispetto al dollaro, toccando livelli che non si vedevano dal 1985. Con uno yen debole e tassi a zero in Giappone, molti investitori hanno preso in prestito yen per investirli in attività remunerative: questo è il carry trade. La maggior parte delle operazioni di carry si concentrava sui titoli tecnologici legati all’intelligenza artificiale e sul mercato giapponese, asset che hanno dato grandi soddisfazioni negli ultimi tempi. Ed eccoci a inizio agosto: la Bank of Japan decide di aumentare i tassi allo 0,25% (sebbene sembri poco, va considerato che erano a zero dagli inizi degli anni ’90), indicando che continuerà a farlo nelle prossime riunioni. Gli operatori devono iniziare a chiudere le posizioni. Come si chiude un carry trade? Vendendo gli asset più remunerativi acquistati con yen presi in prestito. Azioni tecnologiche statunitensi e titoli della borsa di Tokyo. Il passo successivo è convertire i dollari in yen (il debito va rimborsato in yen), il che innesca un ulteriore rafforzamento dello yen, spingendo altri operatori a chiudere altre operazioni di carry trade.
E un altro lunedì nero è servito.